1. Il VivArte visto dai suoi membri. Odio a prima (s)vista.

    AvatarBy Blog Vivarte il 2 Mar. 2017
     
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    Premessa: tale articolo riguarda solo e unicamente i pensieri dell’autrice in merito al Progetto VivArte ed eventualmente suoi membri citati o meno, per cui non devono essere presi come universamente veri bensì puramente soggettivi. Scopo dell’articolo è descrivere come la percezione del Progetto VivArte sia cambiata nell’autrice nel corso degli anni e perché, con un particolare focus alla Sezione Teatrale dello stesso.

    È un dato di fatto che il così glorificato sesto senso, il "giudizio a pelle", l'impatto o qualsiasi sia il nome che volete attribuirgli, nel 90% dei casi, è errato. Questo l'ho provato sulla mia pelle. Frequento il Vivarte dal mio primo anno di liceo (con apparizioni varie e fugaci, ma mai definitive). Se mi chiedete l'opinione che vi avrei dato in quel tempo sul progetto (basata sul nulla) posso dire tranquillamente che sarebbe stata proprio questa: un insieme di disadattati sociali, che per solitudine hanno creato un gruppo dove mettono su copioni poco studiati, pieni di cliché e che si presentano come "aperti" e pronti ad accettare chiunque ma che poi fanno esattamente il contrario, essendo chiusi, pieni di giudizi, pregiudizi e cattiveria (ma quella stupida).
    Perché disadattati sociali? Sono entrata a far parte del progetto che ero piccola e il mio primo giorno di frequentazione sono stata con una mia amica, che era entrata già da giorni. Lei era perplessa più o meno quanto me. Il teatro (sezione più importante) si formava di gruppetti già delineati, chiusi, senza nessuna disponibilità per gli altri. Guardavo Gianmarco, il regista e uno dei coordinatori, e mi sembrava un po' troppo ridicolo il modo in cui decantava il tutto come un luogo di rispetto e di amicizia, quando era il primo che rivolgeva le sue attenzioni solo a poche persone, attori principalmente, trascurando gli altri. L'ho sentita come un’enorme e insopportabile incoerenza. L'età, anche quella mi disturbava. Mi chiedevo "ma perché?", non capivo perché alcuni fossero ancora lì, con quella loro sindrome di Peter Pan (questa è anche l'impressione avuta della professoressa Serangeli, che non conoscevo), ad affiancarsi al gregge cercando di mimetizzarsi in un contesto che a molti di loro non apparteneva proprio più . E questo vale per tutti. Gente che non usciva, non aveva amici, faceva agli altri gli stessi torti ai quali era stata sottoposta e che avevano "causato" il loro status attuale. Infine i ruoli mi sembravano assegnati in modo straordinariamente paraculo con persone che mi risultavano totalmente carenti nella recitazione. Ho cominciato per questo anche a sentirmi a disagio. Era come se tutto fosse stato già fatto e finito; se ci sei, bene, altrimenti, fuori. Come se il modo in cui mi sentivo giudicata da loro, quegli sguardi di altezzosa sicurezza, infondata, mi avessero fatto chiudere a riccio e anzi spinto verso un malcelato e insicuro odio. Tempo dopo però, sono tornata. Qualcuno mi ha anche definito incoerente per questo, ed è un pensiero che tuttavia ho ritenuto lecito, perché le mie opinioni sul Vivarte erano ferme e non cercavo affatto di rabbonirle o nasconderle.
    Tuttavia non era incoerenza né tantomeno ipocrisia; era una sfida. Non riuscivo a lasciar andare questa cosa, perché in realtà non avevo mai avuto uno scontro diretto con i ragazzi del progetto e poteva essere definito facile giudicare senza aver mai provato a giocarmela e magari ad accettare un rifiuto o gestire un’approvazione. Era un voler prendermi beffa di loro, dimostrare che potevo tranquillamente metterci la faccia come loro, ma senza tutti quegli effetti collaterali, quegli atteggiamenti. Volevo sfidarmi, sfidarli, dimostrare che non erano superiori e che il mio giudizio iniziale era stato fondato e non superficiale e ho colto l’opportunità di fare il provino per uno dei miei personaggi preferiti da quando sono bambina (Alice) e per, mio modesto parere, la sceneggiatura più interessante proposta dal VivArte fino ad ora.
    Detto ciò io sono stata esattamente quello che ho dichiarato fosse il Vivarte e adesso, a due anni di distanza, non posso far altro che ammettere l'errore. Vivendolo in prima persona ho visto la fatica e il lavoro, l’organizzazione e la forza che muovevano il tutto. Ho visto il lavoro di Gianmarco Mazzola, la maestria con la quale dirige il progetto, la sua precisione e anche il modo in cui, con il tempo, è diventato più disponibile e aperto con chiunque; senza distinzioni. Ho visto quanto la professoressa Serangeli sia competente, dispensi ottimi consigli ma senza invadere mai lo spazio che è dovuto agli studenti. Il progetto è tutt’altro che un posto dedicato meramente a riempire momenti morti della giornata e fare amicizia (ma è anche questo), è invece un vero e proprio spazio di condivisione d’esperienza, di insegnamento e di arte. Le persone che compongono il Vivarte non sono ‘’disadattati sociali’’ ma normalissime persone, come me, con pregi e difetti. Sicuramente il progetto è migliorato e sta migliorando, anche se in parte il mio giudizio dipendeva molto dalla mia età e dall’insicurezza dell’essermi sentita inizialmente ‘’messa da parte’’.
    Ad oggi, secondo me, è tutto molto migliorato. Le cose sono più fresche, alcuni vecchi membri, che avevano per me davvero un’immeritata rilevanza ormai lì dentro, sono usciti dal progetto scolastico. Sono entrata in un ambiente più tranquillo, accogliente, che mi ha permesso di lasciare un po' quel mio rancore e giudicare lucidamente la situazione attuale. Non ci sono molti gruppi separati. Gli attori di quest’anno, poi, già scelti in ruoli molto importanti hanno avuto meno personaggi che in passato. Mancava questo secondo me: aria fresca.
    Anche perché, come detto prima, il ricambio generazionale ha concesso a persone che prima si sentivano schiacciate dal “peso” di ex membri di sentirsi finalmente più libere di esprimersi. Infatti gli studenti più "anziani" a volte sembravano apparire a tratti egocentrici nel voler avere molta importanza, a prescindere dai meriti o meno, tenendo come metro di giudizio il loro tempo di appartenenza a VivArte in primis.
    Iniziando come un gioco, una sfida, ho fatto un provino e ho trovato solo persone gentili, aperte, disponibili. Mi hanno fatto appassionare. È incredibile quante cose si celino dietro questo gruppo; la passione, l'amore, la gioia, lo stile, il divertimento. È un contesto che ti ingloba, ti annulla, ti permette di essere chiunque tu voglia, senza veli, che ti fa dimenticare il resto. Dopo un periodo di ruolo incerto che mi è sembrato lungo una vita, sono stata scelta come protagonista. Ho sorriso e tirato un sospiro di sollievo incredibile. Ero ansiosa, perché a quel ruolo, a quel luogo e quelle persone mi ci ero affezionata tremendamente e non riuscivo a farmi andare bene l’idea che non ce l’avrei fatta, che non sarei salita su quel palco. Ero sorprendentemente felice, soddisfatta, eccitata al pensiero di esserci, di essere, finalmente, parte del progetto… parte di qualcosa. Ringrazio quel giorno in cui ho deciso di fare il provino, perché sono entrata piena di disprezzo e di certezze e mi sono ritrovata a parlare ogni giorno di quello che facevamo, di attendere con ansia il giorno d'incontro e di sentirmi anzi un po' idiota, per aver giudicato senza fondamento, per via qualche voce e qualche faccia. Non siate come me, non imponetevi limiti! Non basatevi sulle impressioni. Toccate con mano. Perché "sono proprio le persone che nessuno immagina che possano fare certe cose, quelle che fanno cose che nessuno può immaginare”.

    Articolo di Edith Baroni
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